alfa gran turismo

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Subito dopo la morte di mio padre, avevo 21 anni quando è mancato, per un buon sei mesi ogni mattina quando mi svegliavo non ricordavo l’accaduto. Stavo li per lunghissimi minuti immobile, a riprendere faticosamente contatto col mio corpo e mi chiedevo smarrita ‘perché sono triste?cosa mi è successo?’…. Ci voleva un quarto d’ora per riuscire a raccapezzarsi.

Mio padre aveva una sua visione delle donne. La maggior parte erano stupide e lo dimostrava il fatto che quando un uomo sposato le illudeva, dicendo che avrebbe lasciato moglie e figli per loro, queste ci credevano. Quelle intelligenti sapevano che dovevano conservarsi integre per l’uomo che le avrebbe sposate, se no chi se la prende una che è già stata con altri? Io che ero intelligente oltre a conservarmi dovevo studiare, nello specifico giurisprudenza.

Nonostante questi pensieri bizzarri io lo amavo e lui mi preferiva su tutti i figli. L’adolescenza è stata un’idillio di fortunati equilibri: ero brava a scuola e poco incline a manifestare la mia femminilità. A 15 anni ho iniziato a viaggiare all’estero e ad uscire la sera. A 18, dopo 42 lezioni di guida, ho preso la patente e, per la gioia mia e della mia combriccola, Milano è stata nostra.

A 19 anni ho incontrato a Maggio quello che adesso è mio marito e a Settembre sono andata a vivere a Bologna, per l’università. ‘Mi dici che università è un’università che per fare l’esame vedi tre film al giorno?’ ‘E’ l’indirizzo Cinema papà, per conoscere a fondo la comunicazione di massa, oggigiorno è decisiva’ .’Io non lo so… A chi mi chiede, dico che studi new economy… Voglio vedere a cosa ti serve poi… Non potevi fare legge che ti sistemavi…’

Mio padre mi amava per quella che ero, a parte il fatto che ero donna. Io ho iniziato ad essere donna dopo la sua morte, forse per non dargli un dispiacere. Mio marito ha goduto e pagato pegno per ogni passo in più che ho fatto verso me stessa.

Il mio bambino assomiglia tanto a mio padre.

Quando la mattina mi sveglia baciandomi le braccia sento il mondo che cambia, una persona alla volta.

Parole Libere

Parole Libere

La professoressa Eva Cantarella ha terminato il suo racconto e saluta il gruppo di visitatori del La Grande Madre. Mi avvicino e le chiedo se posso farle qualche domanda.

EC: Volentieri, mi segua mentre esco per andare a prendere la metropolitana, sono in giro da stamattina e ho l’influenza, ho proprio bisogno di tornare a casa.

MP: La prima domanda che vorrei farle, se lei ha voglia di rispondere, è se le capita di chiedersi quali sono le responsabilità delle donne della sua generazione, se ci sono, nell’attuale situazione di arretramento della condizione femminile. Cosa è successo?

EC: Certo che me lo chiedo, si…. penso che ci sia stato un problema nella trasmissione alle generazioni successive… un problema di cui non posso parlare in maniera approfondita perché io i figli non li ho avuti, non li volevo….ma penso che quello sia il nodo perché i diritti conquistati sono diventati la ”normalità” e non qualcosa da continuare a perseguire.

MP: Questo è quello che in parte dice anche Luciano Gallino, aggiungendo che la generazione che ha condotto la rivoluzione culturale si è poi data al disinteresse, all’edonismo, al benessere…..

EC: Si ecco i sociologi le sanno certo meglio di me queste cose…. E’ innegabile che il benessere ha contribuito ad abbassare i livelli di guardia, di tutti però. Non solo delle donne, e non solo della mia generazione. E poi essere femministe non era più accettabile. Tutte che negavano, che ridimensionavano. Sembrava una cosa antica, di altri tempi. Non per me perchè io ho sempre dichiarato con orgoglio di essere stata femminista.

MP: Si lo so. In parte ora la situazione sta cambiando ed il movimento femminista è di nuovo attivo anche se molto frammentato.

EC: E dove è attivo? Quali sono i luoghi del dibattito?

MP: Direi soprattutto nei movimenti e sulla rete, Ci sono tanti contributi diversi, social network, community, forum, blog. Io scrivo su un blog per esempio.

EC: E cosa è il blog? Perché non l’ho ancora capito….

MP: E’ un luogo in rete dove chiunque può scrivere e condividere con gli altri sui temi che gli interessano.

EC: Eh si ma diventa una mole immane di cose a cui stare dietro…. Troppo tempo….Preferisco dedicarlo allo studio.

MP: Certo, lo capisco perfettamente. La seconda domanda è su uno dei punti che divide il movimento femminista oggi: sex work. Secondo lei bisogna regolamentarlo o continuare a proibirlo?

EC: Mah la proibizione ha poco senso però bisogna vedere anche cosa succede se si regolamenta oggi, nella nostra situazione culturale. Si rischia di tornare a schedare la prostituta come facevano i fascisti… E poi la libertà della donna dovrebbe essere libertà di innalzarsi…

MP: Chi è pro regolamentazione dice che questo tipo di argomentazioni sulla libertà sono false e moraliste perché non si può universalizzare il proprio punto di vista a scapito di quello altrui…. E se è desiderio di alcune donne lavorare regolarmente nella prostituzione, visto che c’è il diritto all’autodeterminazione, dovrebbero poterlo fare….

EC: E di che posizione politica sono quelle che la pensano così?

MP: Direi sinistra, sono gli ambienti dei collettivi precari

EC: Anche io sono di sinistra e sull’autodeterminazione non ci sono dubbi. Ma far diventare la prostituzione un lavoro, senza aver prima discusso di cosa sia il lavoro oggi, mi sembra pericoloso… Nella situazione attuale rischiamo nuove violente marginalizzazioni.

MP: In che senso?

EC: Nel senso che anche adesso, io e lei, stiamo parlando solo della prostituta, senza affrontare il ruolo del cliente, la funzione della prestazione, le sue connotazioni sociali, il significato della parola lavoro. Noi possiamo fare anche la legge, ma dovremmo intenderci prima sulle basi.

MP: Quindi se lei si dovesse esprime pro o contro la regolamentazione, come si esprimerebbe?

EC: In questo momento non prenderei posizione ed inviterei ad un confronto più ampio le parti.

MP: E invece sulle Unioni Civili secondo lei a che punto siamo?

EC: Io sono al punto che non riesco più a sopportare tutti quelli che mi dicono che hanno paura della stepchild adoption e che se passa ci sarà l’utero in affitto in Italia. Non è così! La legge serve perché l’Italia non è scollegata dal resto del mondo e le persone sono già andate all’estero per usufruire di tecniche di concepimento che qui non sono valide. Quindi la legge serve per regolamentare situazioni già esistenti che hanno tutto il diritto di usufruire di un quadro chiaro e di tutele.

MP: Pensa che l’emendamento sull’affido rafforzato potrebbe essere utile a sciogliere questo nodo?

EC: Si potrebbe esserlo, ma sa qual è il problema? La comunità omosessuale: loro vogliono le stesse parole usate nelle situazioni tradizionali: non “Unionione Civile” ma “Matrimonio” …. E si figuri se adesso invece che stepchild adoption, che già non è la classica “adozione” andiamo su “affido rafforzato”…. Non lo accetteranno mai. Ma io dico: portiamo a casa i diritti, santo cielo! Una volta che i diritti ci sono che importanza hanno le parole? Come vede siamo all’impasse…

MP: Si anche io ho notato questa rigidità …. E’ come se da un parte volessero essere riconosciuti per la loro diversità, e dall’altra volessero essere come la maggioranza, raccontati con le stesse parole … Penso sia perché l’ identità sociale LGBT è giovane e ancora in evoluzione….

EC: Si l’identità… Può essere….

MP: Senta ma posso scriverlo, tutto quello che mi ha detto?

EC: Certo, i miei amici si arrabbieranno ma io lo dico sempre anche a loro…

MP: Grazie. Allora un’ultima domanda: nella sua biografia si parla sempre di suo padre e del suo maestro…. Mi dice invece qualcosa di sua madre?

EC: (con un grande sorriso) Mia madre era una donna eccezionale. L’hanno mandata a suonare il pianoforte dalle dame inglesi, sa era del 1909…. Lei avrebbe tanto voluto studiare. Mai una volta che mi abbia detto: ti devi sposare…. Mai, mi ha sempre incoraggiato a seguire i miei interessi, a essere me stessa. Se io e mia sorella siamo le persone che siamo lo dobbiamo a lei. Mi ricordo nel 1969 quando ci fu la trasmissione delle immagini del primo uomo sulla luna lei guardava estasiata… Voleva..

MP: Voleva essere lei.

EC: Si, mi disse che avrebbe voluto studiare aeronautica… Poter andare nello spazio….
Guardi, la Rinascente è ancora aperta… Adesso che ci penso invece di andare a casa passo a comprare le calze…

MP: Benissimo, le auguro una buona serata e la ringrazio della libertà con cui mi ha risposto.

EC: Grazie a lei delle domande.

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la Grande Madre

la Grande Madre

L’incontro con Eva Cantarella alla Grande Madre è stata un’occasione per ascoltare, in un contesto di indagine artistica contemporanea sulla maternità, una delle voci più autorevoli del femminismo italiano. Eva ha preso parte con il suo lavoro di giurista – “Ci dicevano giuriste femministe”- ai grandi cambiamenti degli anni ’70 e si è in parallelo dedicata allo studio della condizione della donna nella civiltà greca e romana, con significativi apporti alla conoscenza e preziosa attività di divulgazione. E’ una donna che, mi verrebbe da dire “nonostante” il suo background di provenienza sociale e culturale innegabilmente d’élite, ha praticato il femminismo come modo di agire nel mondo, invece di farlo diventare un mestiere.

Eva spiega con chiarezza come è stato il potere creativo della donna a determinare la sua soggezione e come la funzione procreatrice è stata la sua trappola.

La donna greca, senza diritti e mera veicolatrice di ricchezza dal padre al marito attraverso la dote, è il “recipiente” del figlio come ci insegna Eschilo nell’Agamennone e Aristotele, con la teoria della trasformazione del cibo in calore. Per i greci, con Pandora fatta di terra e acqua, e anche per le civiltà precedenti, la donna è terra/materia e l’uomo è cielo. Senza nessuna fondata ipotesi di un’originaria età dell’oro perché “se vi parlano di matriarcato vi stanno mentendo”. Tutta questa presenza della materia nel femminile ha contribuito alla connotazione delle sue qualità intellettive: l’intelligenza femminile “Metis” è già nel mito inferiore a quella maschile del “Logos” .

“Per questo quando mi capita come oggi all’Expo, e come spesso ultimamente, di sentire tutta questa esaltazione del rapporto privilegiato della donna con la terra, penso ci sia da prestare molta attenzione”.

La donna romana invece acquisisce due elementi fondamentali (ancora oggi) per emanciparsi: l’indipendenza economica, perché partecipa in pari quota con gli altri fratelli alla successione ereditaria, e l’istruzione. Le donne romane lavorano e prendono parte attivamente alla vita politica del paese come dimostrano gli scavi di Pompei. Le poesie di Sulpicia e le storiche arringhe in tribunale dell’ avvocatessa Gaia Afrania – “li voglio pronunciare i nomi di queste donne”- dimostrano a quale progresso si arriva in età romana. Risultati poi perduti durante la decadenza dell’ Impero e rimasti ineguagliati per lunghissimo tempo. Molto interessante il risvolto della medaglia: a Roma sono le donne che trasmettono alla prole i valori del patriarcato, un giogo perpetuo all’obbedienza paterna che può sciogliere solo la morte.

E poi il 900, secolo in cui la condizione femminile ha fatto più progressi che nei precedenti 3000 anni. Nel 1969 la Corte Costituzionale elimina il reato, che potevano commettere solo le donne, di adulterio e finalmente scoppia “l’unica vera rivoluzione culturale italianala: il femminismo”, con tutti quegli effetti di straordinaria liberazione che si manifestano nella riforma del diritto di famiglia del 1975 e nelle battaglie per l’autodeterminazione.

Eva ha terminato il suo racconto e saluta il gruppo. Mi avvicino e le chiedo se posso farle qualche domanda. Esco con lei da Palazzo Reale e camminiamo insieme davanti al Duomo.

Quando rientro alla mostra faccio un giro tra le opere e mi fermo spesso, in barba alla riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, davanti alle foto.

In particolare c’è una foto di Marcel Duchamp travestito da Rose Selavy, non quella con l’inserimento in post produzione delle braccia femminili, proprio un primo piano di lui bellissimo, truccato da donna.

E li vicino i ritratti fotografici della donna che lui amava, Elsa von Freytag-Loringhoven, e tutta la tensione di lei verso l’allegria, la gioia. Poi il ritratto fotografico di Breton con la donna dietro le sbarre alle sue spalle, e La Madre Migrante di Dorothee Lange.

Mi sposto nella sala dell’uovo rosa di Fontana e vedendo delle installazioni video chiedo a Serena, una ragazza dello staff, se per caso c’è qualcosa di Sophie Calle.

SF: Sophie Calle… aspetti controllo meglio perché non mi è nuova… però no, non c’è…. Strano mi ricordava qualcosa…

MP: Certo, è una grande artista… Fa le installazioni foto e video…. Per esempio ha fatto quel lavoro fotografico con gli scatti di un detective ignaro che la seguiva e che lei stessa aveva ingaggiato…

SF: Si, ora ricordo! No, non c’è …. Comunque abbiamo tanto materiale che non è stato esposto per mancanza di spazio.

MP: La mostra è andata bene?

SF: Si, molte visite. E’ stata una mostra riuscita secondo me perché ha lasciato il segno.

MP: In che senso?

SF: Nel senso che i visitatori hanno avuto reazioni visibili, a volte positive, a volte negative, sintomo che si è andati a toccare un tema scottante parlando di maternità, quasi un tabù.

MP: Molto interessante. Reazioni di che tipo?

SF: A cominciare dalle espressioni facciali di chi visita la mostra…. Le facce che fanno quando si trovano davanti ad opere che rimandano al peso biologico della gravidanza…. E come se il lato biologico, e quindi naturale, fosse anche quello più oscuro… E poi reazioni di ogni tipo: per esempio una visitatrice voleva che le rimborsassimo il biglietto perché si aspettava di trovare opere di sole donne …. Un’altra che si è arrabbiata perché ha detto la mostra restituisce un’immagine della donna che non è positiva…. Insomma il tema suscita delle reazioni forti.

MP: E perché proprio la maternità è percepita in maniera così ambivalente?

SF: Beh perché oggi questa è la realtà anche fuori dalla mostra… Basta pensare alle difficoltà che incontra una donna che cerca lavoro ed è incinta o ha un bambino piccolo…

MP: E secondo te una femminista che visita la mostra che impressione ne ha? Positiva o negativa?

SF: Non saprei rispondere sulle impressioni…. Ma una delle cose più interessanti che ho sentito è stata la discussione di un gruppo di donne, penso femministe…. Dicevano che l’errore del femminismo è stato fermarsi sulla maternità, non averla affrontata fino in fondo.

MP: Grazie Serena, mi hai dato degli spunti molto validi, con grande semplicità.


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le parole sono importanti

le parole sono importanti

Con l’emendamento dell’affido rafforzato al ddl Cirinnà sulle unioni civili per le coppie omosessuali, la senatrice Pd Rosa Maria Di Giorgi ha secondo me trovato il modo di sciogliere il nodo della stepchild adoption, tema delicatissimo non solo per il parlamento ma anche e sopratutto per il paese, come dicono i sondaggi ma ancor più chiaramente le vocii di amici, genitori di compagni d’asilo dei miei figli, persone in vario modo a me vicine.  Non solo per Alfano e Meloni la possibilità di rendere attuabile l’adozione da parte del partner del genitore biologico del bambino di una coppia omosessuale è qualcosa di controverso e molto vicino ad una deriva etica,  ma anche dai riscontri che mi risultano dal confronto diretto con le persone che conosco (escludendo i pareri della militanza romana, milanese e nazionale dei movimenti femminili di sx) emerge una forte resistenza. Non sono neanche certa di poter dire che è la matrice cattolica che determina queste resistenze perché, soprattutto nella cerchia degli amici, la percentuale di atei o non praticanti è altissima. E sono convinta che non sia nemmeno l’omofobia la causa di questa chiusura perché tutti gli altri aspetti della legge sulle unioni civili (tutela e riconoscimento del legame, diritto alla cura del coniuge, reversibilità, successione ereditaria ecc.) vengono pienamente promossi.

E’ proprio la genitorialità il problema, nello specifico per questi due punti ricorrenti: il bambino ha diritto ad un padre ed ad una madre, è sbagliato consentire delle forme di procreazione assistita diverse da quella omologa (tra cui la più rifiutata è la maternità surrogata).

Allora parlare di affido rafforzato, anziché di stepchild adoption, potrebbe aiutare a porre la questione in  termini diversi. La differenza tra la stepchild adoption e l’affido rafforzato sta soprattuto nella maggiore potenzialità dell’affido nel far emergere la sua valenza di transizione. Se l’adozione definitiva e immediata del partner del genitore biologico e l’equiparazione delle unioni omosessuali alle unioni etero tradizionali può risultare uno strappo troppo violento da metabolizzare, l’affido rafforzato e la visione della coppia omosessuale come nuova formazione sociale può meglio trasmettere, senza incorrere nello scontro ideologico, la finalità di voler regolamentare delle situazioni che nella realtà già esistono ed hanno bisogno di essere regolarizzate, soprattutto a tutela dei bambini.

All’interno dell’emendamento proposto dalla senatrice, trovo innovativa la possibilità data al bambino di acconsentire all’adozione definitiva una volta raggiunta la maggiore età. In questo modo potrà aderire ufficialmente (o meno)  al “nuovo” modello di famiglia dopo averne avuto esperienza, convalidandolo “democraticamente” e usufruendo di uno spazio di garanzia per riflettere e manifestare la sua stessa identità.

L’affido rafforzato potrebbe concretamente servire a far dialogare posizioni opposte in parlamento e   differenti visioni e necessità di un paese in cui il cambiamento ha bisogno dell’apertura della maggioranza per realizzarsi.

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Zuppa di zucca healthy Halloween

Zuppa di zucca healthy Halloween

Questa zuppa di zucca è molto gradita dai miei bambini e anche dagli altri piccoli che l’hanno assaggiata, è un piatto economico, sano e gustoso anche per i grandi. Ho imparato questa ricetta della tradizione anglosassone in Australia, dove il cibo e le sue proprietà  nutritive sono elementi seriamente presi in considerazione per mantenersi in salute.

Ecco gli ingredienti

Una zucca bio di circa mezzo kg

5 o 6 carote bio

un quarto di scalogno

2 fette di pancetta dello spessore di circa 5 mm oppure una confezione di pancetta in cubetti da 100 o 125 gr.

Come si cucina:

Si sbucciano la zucca e le carote e si tagliano a pezzi. Si mettono in una pentola capiente insieme a dell’acqua, che deve arrivare due dita sotto il livello delle verdure. Si aggiunge lo scalogno e la pancetta. Si fa cuocere a fuoco medio per circa un’ora o comunque fino a che la zucca non sia completamente dissolta nel brodo. Poi si spegne, si frulla tutto con il minipimer si aggiunge dell’olio evo e del sale.

Ai bambini la serviamo con il grana grattugiato e dei piccoli crostini di pane al forno.

Per noi grandi: grana, abbondante polvere di curcuma e un cucchiaino di alga Nori.

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Il femminismo siamo noi

Il femminismo siamo noi

La riflessione di oggi che l’Espresso dedica al femminismo – intitolata “Donne, il femminismo ha perso?”- è un punto della situazione “istituzionale” abbastanza accurato, anche se questo può fare arrabbiare  o lasciare un po’ sconsolate. In realtà è  abbandonando il “femminismo istituzionale”, in ostaggio alle donne bianche e benpensanti, che la pratica del femminile si è fatta e si sta facendo viva, multiforme e inarrestabile. Dacia Maraini risponde così alla domanda se fosse più facile essere femministe in passato: «(in passato) Avevi la possibilità di coinvolgere gli altri, sentivi di far parte di una comunità. Nel mondo di oggi ognuno va alla cieca, pensando a sé. La protesta non viene allo scoperto come un tempo perché siamo in un momento di frammentazione: non c’è modo di far coagulare nessun pensiero, tutto è personalizzato e rissoso. E l’individualismo prevale».

Si è vero, siamo frammentate, individualiste  e danneggiate da una tale divisione interna della categoria che denominarla semplicemente “competizione” è riduttivo. Il fronte femminista, come quello dei lavoratori, è un concetto astratto senza radici nella realtà. Le radici ora fanno i direttori di banca, le direttrici di giornale, le scrittrici di saggi, i registi, i curatori d’arte e potrei andare avanti ancora molto con l’elenco delle posizioni assegnate alla classe intellettuale che ha fatto quel tanto di rivoluzione che bastava per assestarsi più comodamente tra le maglie del sistema. Come dice il mio amico Dario, il sistema trova sempre il modo di riassorbire le perdite…. Non voglio mettere in dubbio l’importanza di risultati epocali come il divorzio e l’aborto, ma far emergere la non – continuità a cui la classe intellettuale protagonista della rivoluzione culturale degli anni 70 si è abbandonata negli anni 80 e 90. Edonismo, individualismo, precarietà, anche questi sono stati risultati epocali. E adesso loro ne parlano nelle interviste, noi li viviamo.

Le nostre rivoluzioni sono personali e soggettive.

La madre mussulmana che incontro al parco e che cerca di educare alla parità il figlio e la figlia. Mio marito che fa le pulizie in casa e si occupa dei bambini. Silvia a Roma col suo banchetto delle firme che non si ferma davanti a niente. Silvia a Milano che si è licenziata per rimanere incinta. La mia amica Alessandra che lotta sul posto di lavoro perché  madre di due figli con necessità di orari umani, e tutte quelle come lei. Anna che dovrebbe essere la boss europea della sua azienda e l’hanno promossa quel pochino che era impossibile negare, e tutte quelle come lei.

Il femminismo si è trasformato da ideologia a movimento di resistenza. La cura femminile del mondo è sovversione quotidiana che permea le azioni concrete di donne e uomini della strada, quella sconosciuta.

Questa non è sconfitta è evoluzione.

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Silvia e il desiderio

Silvia e il desiderio

Silvia è nata nel 1976, ha una cultura medio-alta, una posizione lavorativa  manageriale nel terziario e si è appena licenziata per tentare di diventare madre. La sua piccola storia è qualcosa che ha a che fare con la rottura di un tabù moderno e il modo aperto in cui la racconta crea dei ponti tra te e lei, tra lei e il contesto generale, tra come è e come dovrebbe essere.

Ieri sono stata al ***** (nome dell’ospedale) per l’inseminazione… Vediamo come va questa volta. E comunque menomale che hanno messo le porte,  l’ingresso separato, hanno creato un po’ di privacy… Sai è difficile in quella situazione, magari sei li a gambe all’aria e passa chiunque, il personale dell’ospedale per esempio entra per discutere dei turni in continuazione. Non è bello!

Ti senti a disagio?

E’un misto tra il disagio di essere costretta a condividere con degli sconosciuti un momento così intimo e il timore di poter essere vista, magari in sala d’aspetto, da qualcuno che conosco e che così capirebbe che sto cercando una gravidanza. A Milano ho lavorato molto, conosco tanta gente ed è un attimo se capita che la voce si sparga.

E cosa succede se la voce si sparge?

Adesso niente, visto che mi sono licenziata. Ma prima era una preoccupazione fondata perché nel mio settore e per il ruolo che ricopro la gravidanza è un grosso, grosso problema.  Il datore l’associa  immediatamente a: lavoro aggiuntivo per la ricerca del rimpiazzo, minore produttività, perdita economica (anche se è risaputo che la maternità la paga l’Inps questo è innegabilmente il pensiero della dirigenza) e un lungo periodo di assenze anche dopo il rientro, legate alla gestione del bambino nei momenti di bisogno, quando per esempio capita che si ammali.

Questa è una tua percezione o hai degli elementi per esserne certa?

Ne sono certa perché io stessa partecipo, e a volte svolgo autonomamente, le selezioni del personale. Anzi posso dirteli quali sono i parametri che vengono adottati per le donne: dai 25 ai 30 ok, siamo tranquilli. La maternità si è spostata più avanti, le ragazze in quella fascia d’età hanno appena finito di studiare e vogliono impegnarsi per acquisire esperienza sul campo, quindi sono valutate portatrici di un potenziale alto rendimento. Dai 30 ai 35 anni la peste nera: in questa età le donne non vengono prese perchè la probabilità che restino incinte e le conseguenti perdite in profitto e rendimento è molto alta. Dopo i 35 anni, se la professionalità acquisita è notevole c’è qualche speranza, ma solo per quelle senza figli e solo perché si pensa che ormai non possano o non vogliano più averne.

E tu hai svolto selezioni del personale adottando questi parametri?

Certamente, è così. E non solo le ho svolte dalla parte della selezionatrice ma anche come candidata, perché  un po’ per le dinamiche legate alla “flessibilità” contrattuale, un po’ perché sono sempre alla ricerca di nuove possibilità per accrescere la mia professionalità, mi capita spesso di cambiare lavoro. Una volta uno me l’ha proprio detto in faccia: lei a quest’età ormai non avrà più intenzione di fare figli vero? Perché sarebbe un gran problema per l’azienda, ne risentiremmo in stabilità….

E tu cosa hai risposto? Ma soprattutto, come ti sei sentita a selezionare altre donne in base al loro supposto ciclo riproduttivo?

Io gli ho detto: “Mi scusi ma lei da dove è uscito? E’ stato trovato sotto un cavolo?” e l’ho salutato. Comunque si, è vero, sono stata costretta ad adattarmi, a metterli in pratica questi parametri. Il lavoro è così attualmente, non c’è molto altro da dire purtroppo.

Ed è per questo che hai deciso di licenziarti?

In parte per questo, perché l’ultima cosa che vorrei è sentirmi in colpa se dovessi rimanere incinta. E’ difficile da spiegare, so che non c’è nessuna colpa in una gravidanza ma è come se parte di me, la mia identità professionale mi viene da dire, avesse assorbito i condizionamenti che ho subito e che ho attivamente praticato. Quindi preferisco sottrarmi al conflitto in primo luogo delle mie  stesse identità, e poi a quello silenzioso ma violento che si scatenerebbe sul lavoro. Inoltre penso che i ritmi, lo stress, la qualità di vita che il mio lavoro impone sono una delle cause dei problemi di fertilità e di salute che ho, quindi visto che ho 39 anni e mi rimangono le ultime carte da giocare, voglio mettercela tutta.

Questa scelta la fai perchè puoi permetterti economicamente di non lavorare?

Non è esatto. Posso permettermelo ma fino ad un certo punto. Negli anni scorsi ho messo via un gruzzoletto a cui nei prossimi mesi attingerò. Ma oltre ad un compagno solidale ho un mutuo, quindi per i miei calcoli posso permettermi una certa tranquillità fino alla prossima estate e poi dovrò capire cosa fare.

Quindi hai pianificato tutti gli aspetti? Sai già quali sono le opzioni da mettere in pratica in ogni caso?

No veramente no. So soltanto che vorrei tantissimo essere madre e ho dovuto anche lavorare parecchio su me stessa per accettare questo desiderio in tutte le sue sfaccettature. Alla fine ce l’ho fatta e mi sono voluta dare questa possibilità.

Complimenti. Mi racconti qualcosa sulle sfaccettature?

Prima di tutto non è stato facile accettare di iniziare il percorso di fecondazione assistita. Perché volevo farcela da sola, mi sentivo diminuita nel percorrere questa strada. E poi è stato anche difficile accettare la profondità del desiderio. Come accade a molte donne, anche io ho attraversato una fase in cui mi sono chiesta se abbandonare una situazione di stabilità lavorativa ed economica fosse la cosa giusta… Ma poi ho scelto.

Sono molte le donne che secondo te rinunciano per le difficoltà di cui abbiamo parlato e non perché non vogliono figli?

Si sono molte le donne che si autocensurano. Non so come andrà a finire la mia avventura, ma sono contenta di essermi riconosciuta.

Perché vuoi diventare madre? Cosa pensi che ti porterebbe la maternità in più rispetto a quello che già hai?

Non so risponderti con esattezza. Mi viene in mente quando ero piccola e con mia madre la sera guardavamo insieme quel telefilm “Arnold”, te lo ricordi? Ero serena, ero con lei, questo bastava. Vorrei che queste situazioni si potessero ricreare e viverle da madre. Vorrei poter educare mio figlio o figlia, potergli trasmettere una parte di me e allo stesso tempo crescerci insieme. E’ qualcosa di indefinito che però sento forte dentro di me.

Secondo te perchè un desiderio come questo, che è la base della vita su questo pianeta, è entrato in forte contraddizione con il sistema sociale ed economico che ci circonda? Come pensi sia possibile riportare un po’ d’equilibrio?

Secondo me la situazione sociale ed economica, i rapporti di lavoro, la sostanza del lavoro stesso è diventata inumana e la base di tutto è il solo profitto. Perché possa esserci il ritorno dell’equilibrio serve ormai un punto di rottura decisivo ma non so dirti come e quando avverrà. Dopodiché una rivalutazione dei rapporti umani potrà forse essere la base di un nuovo sviluppo, più equo. Un po’ quello che già sta accadendo nell’associazionismo tecnologicamente avanzato.

Che ruolo ha il singolo individuo in tutto questo?

Tutti possono scegliere. Mai come ora le scelte e la consapevolezza del singolo possono fare la differenza. C’è una barzelletta che racconta di un signore che prega ogni giorno Dio perché vuol vincere la lotteria. Prega e prega ma ad un certo momento si arrabbia e si lamenta gran voce perché il desiderio non si avvera. E Dio gli risponde: io te la faccio vincere la lotteria, tu però compralo questo biglietto!…. Ecco io penso che dobbiamo tutti impegnarci a comprare il biglietto.

Speriamo in una bellissima primavera. Grazie Silvia,  che il tuo viaggio, qualunque sia, continui a portarti sempre più vicina a te stessa.

silvia

Sopra: Silvia, la madre e il fratello.

lotta e sorridi

lotta e sorridi

In questo post condivido qualche spunto che ho raccolto la scorsa Domenica alla manifestazione del Corriere “Il tempo delle donne” su: lavoro, creatività e nuove tecnologie.

So (ed io per prima ho pensato) che mettere insieme tre temi come questi con la pretesa di poter fornire qualche elemento utile all’emancipazione sociale e lavorativa femminile può sembrare quantomeno velleitario in questo momento, invece i contenuti emersi sono stati interessanti e non appiattiti, come forse temevo, dal peso del format “evento editoriale”.

Provando a parlare di lavoro e mancanza di lavoro,  Monica Rancati senior risorse umane alla Microsoft ha fornito l’identikit delle skills che in ambito digitale assicurano un’ immediata rilevanza del cv: IoT e cloud. L’esperienza autodidatta è la modalità da privilegiare e che l’azienda stessa privilegia, preferita di gran lunga alle certificazioni ottenute dai corsi di specializzazione digitale “oversold”, di cui le votazioni finali hanno smesso di rappresentare un valore nei parametri di selezione cedendo i punti alle esperienze di volountering. Per portare un esempio concreto della potenzialità che l’acquisizione delle skills ricercate attribuirebbe ad una candidatura, Monica ha descritto una reale situazione di ricerca personale in atto ora in Gran Bretagna: si cercano 50 alti profili in ambito digitale ma le donne che hanno le capacità necessarie per ricoprire la posizione sono solo 7 in tutto il paese. Rimangono quindi non assegnati 18 alti profili che per policy di parità l’azienda riserverebbe alle donne… Donne che faticano tuttora ad iscriversi ad informatica e ingegneria e che spesso “non sono le migliori amiche di se stesse. Sono sottopagate perché non sanno far valere il proprio lavoro”. Monica Rancati dice che il gendere gap in Microsoft non esiste e che le retribuzioni salariali non tengono assolutamente conto del genere. Zero gender gap però non è solo uguale livello salariale, ma anche possibilità di conciliazione vita lavoro che in Microsoft tentano di attuare con lo smart working (lavorare fuori ufficio con mail, tablet, rete….) . Non so quanto però l’impatto di una connessione lavorativa continua, anche se “immateriale”, possa rappresentare una soluzione di conciliazione. Anzi il ricordo delle mail sul blackburry mentre allattavo mi fa essere scettica. D’altra parte Monica stessa racconta di essersi resa reperibile telefonicamente per eventuali grosse problematiche aziendali anche il giorno di Natale, quando lavorava in Medioriente e del resto li non era festa…. La sindrome del cordone a volte colpisce anche le più in gamba.

Altra riflessione interessante e stata quella di Elisabetta Caldera su lavoro, conciliazione e cambiamento. Da direttrice risorse umane di Vodafone ha detto che se si vuole determinare un cambiamento significativo nell’organizzazione del lavoro bisogna diminuire il controllo dell’individuo, elemento dell’organizzazione d’impresa che ha fatto il suo tempo e che non può più essere praticato come nel secolo scorso. Per svincolarsi ci sono strade diverse, la riduzione della giornata lavorativa a 6 ore come in Svezia o lo smart working, ma certamente la direzione da intraprendere è questa. Concetto interessante ed espresso con un’inaspettata comunicazione non verbale di genuina urgenza su “controllo dell’individuo” che sarebbe stato bello poter approfondire.

Finisco con l’ammirazione che mi ha suscitato la storia di Francesca Fedeli, imprenditrice sociale fondatrice di “Fight the stoke”. Francesca crea l’associazione dopo la nascita di suo figlio Mario, colpito da ictus perinatale. L’associazione si occupa di mettere in rete le famiglie italiane che condividono questa esperienza e di creare risorse innovative per la riabilitazione. In questo momento stanno sviluppando una piattaforma per la videoriabilitazione che consente l’accesso e la fruizione dei contenuti terapeutici attraverso il pc.

Francesca ha scritto un libro che si chiama “Lotta e sorridi” che voglio leggere.

la brownie definitiva

la brownie definitiva

Questa ricetta è il risultato di quattro anni di esperimenti alla ricerca di quel sapore un po’ immaginato (serie tv anni ’90) e un po’ assaggiato durante qualche viaggio… Anche non essendo (ancora) mai stata in America sento di aver trovato la versione definitiva e la condivido.

Il punto di partenza è stata questa versione delle Sorelle in Pentola che ringrazio per l’ispirazione.

La mia è meno dolce, più cioccolatosa e, come molti dei miei dolci, adatta al feticismo alimentare di chi ama (siamo in molti) assaporare la sottile traccia dell’impasto a crudo. Per queste sue caratteristiche è un dolce panacea che soddisfa, cura tutti i mali e purtroppo crea dipendenza.

Ecco gli ingredienti:

200 g di cioccolato fondente (io uso questo e lo consiglio)

110 g di burro (l’importante è che sia min. 82% materia grassa… poi i miei preferiti sono questo e questo )

100 g di farina 00 bio

20 g di farina di riso

140 g di zucchero a velo

10 g di cacao amaro in polvere bio

2 uova

Lavorazione

  1. In una pentola, a fuoco dolce, si fa sciogliere il burro e i blocchi di cioccolato, amalgamandoli con un cucchiaio di legno.
  2. Appena questi due ingredienti si sono sciolti e amalgamati si spegne il fuoco e si sposta    la pentola sul fornello di fianco o sul piano lavoro.
  3. Si aggiunge lo zucchero a velo e il cacao amaro e li si lavora fino a che non risultino completamente integrati con la crema al cioccolato.
  4. Si aggiungono le due uova intere e si lavorano direttamente nella pentola con gli altri ingredienti senza montarle o lavorarle prima separatamente.
  5. Si aggiungono le due farine (00 e di riso) e si amalgamano al composto.
  6. Si fodera una teglia con carta forno (io uso una teglia rettangolare di cm 23×34, ma l’importante è che il composto versato raggiunga lo spessore di circa cm 1,5)
  7. Si inforna a forno già in temperatura a 165° (max 175° se non ve la sentite di lasciarvi andare al feticismo del crudo) x 40 max 45 minuti.
  8. Appena  “cotta” (anche se la consistenza sembra un po’ indietro di cottura non preoccupatevi perché raffreddando si rassoda) si sposta delicatamente la torta, sfruttando i lembi della carta forno, su un tagliere e si taglia a cubetti.
  9. Si sistemano i cubetti in un vassoio e si serve solo quando si è del tutto raffreddata (un’oretta tutta).

tempi: 20 minuti per la preparazione + 45 minuti per la cottura

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